cliente vs architetto
Apro il nostro blog con questa celebre citazione di Frank Gehry, famosissimo architetto contemporaneo.
Il tema riguarda il rapporto tra committente e progettista; relazione essenziale per potere realizzare qualsiasi manufatto architettonico, tranne nel caso in cui il progettista non sia mecenate di se stesso.
Quante volte abbiamo discusso con chi ci ha incaricato di realizzare la propria casa, dovendo modificare controvoglia e con frustrazione ciò che con passione e fatica avevamo pensato per lui?
Probabilmente la risposta è: “sempre” o per i più fortunati: “molto spesso”.
Penso che il cliente modello sia la risorsa principale, il contributo fondamentale per raggiungere l’obiettivo prefissato e per realizzare un’architettura corretta non auto celebrativa ma capace di migliorare la vita al fruitore stesso che poi la vivrà nel quotidiano. Egli stimola continuamente il professionista che, coinvolto nel processo creativo, a volte dimentica aspetti più pratici, economici e funzionali, commettendo errori banali e ingiustificati. Il cliente modello è però altresì consapevole che il progettista che ha scelto liberamente deve divenire la persona capace di orientarlo nelle scelte accompagnandolo attraverso un percorso di crescita culturale unico ed affascinante. Chi fa architettura si è formato per anni su come organizzare lo spazio e la luce. Di contro, il progettista capace e consapevole è dunque pienamente in grado di esaudire le richieste del proprio committente, non trascurando nessun aspetto e valutando con spirito critico le indicazioni corrette che il suo cliente può avanzare. L’architetto deve però potere sempre operare utilizzando un linguaggio moderno, indipendente, colto e coerente.
Il cliente modello deve avere l’umiltà di capire che fare architettura è molto complesso; essa è una disciplina tra le più difficili da imparare, nessuno a scuola ce la può correttamente insegnare; per apprenderne i contenuti occorrono molti anni di applicazione sia sui testi sia sul campo; per tale motivo, a volte ci si deve abbandonare con fiducia al professionista che ha abbiamo scelto.
Durante il mio percorso lavorativo ho spesso rinunciato a commesse, laddove mi si volevano imporre idee progettuali che non condividevo. Trovo che il contributo che un architetto può dare è vano se non ci sono le condizioni di base perché tale apporto possa essere dato.
La mia scelta di rinunciare a un incarico è prima di tutto una scelta etica: chiedere un compenso che non giustifica il vero plus che potrei dare, corrisponde a comprare un oggetto che costa molto di più del suo vero valore e del suo giusto utilizzo. A tale proposito, pubblico una mail ricevuta da una coppia di mancati clienti che giorni fa e dopo mesi mi hanno scritto nuovamente. Il gesto non vuole essere una auto celebrazione dell’ego che ogni architetto coltiva, ma semplicemente una testimonianza di quanto, con estrema sintesi, ho cercato di spiegare in questo primo articolo del blog.
Le parole di elogio nei confronti del mio studio e di rammarico nel non averci affidato l’incarico, anziché gratificarmi mi hanno lasciato un alone di tristezza; non per il possibile guadagno e lavoro persi ma per l’occasione unica che i committenti non hanno colto come avrei voluto e sperato.
La possibilità era quella di costruire un’architettura da vivere a prescindere dal progettista che si sarebbe occupato di realizzarla: questa rara occasione è stata sciupata.
Gentilissimo Architetto,
Con Valentina si stava discutendo di alcune scelte fatte nel tempo.
Avviso che il progetto è iniziato da poco, ma ahimè senza lo studio LCA.
Purtroppo valutazioni dettate da alcune esigenze (anche a livello di gestione di autorizzazioni e permessi comunali) hanno reso l’iter costruttivo un vero e proprio calvario. RIPIEGARE su altre figure è stata una scelta dettata anche da queste situazioni.
Le dico la verità, che resti tra noi: l’altro giorno, si stava proprio rimpiangendo (purtroppo sì, e il termine è più che corretto) il non aver portato avanti il discorso con il vostro studio questo perché abbiamo dovuto scendere a tanti compromessi, tante cose sottovalutate o sottintese, un rapporto non compreso o non capito dalle varie figure professionali che stanno ruotando intorno al nostro progetto della vita.
Ben consapevoli che il vostro lavoro sia davvero complicato dai gusti e dall’ignoranza (in materia) di noi clienti ma, oggettivamente, se ci sono delle esigenze chiare da parte del committente non si può non tenerne in considerazione, al di là della propria impostazione “architettonica” (non credo sia il termine giusto, ma rende l’idea). Credo si possano comunque cercare dei compromessi.
Vero che non abbiamo avuto modo di approfondire tanti discorsi in quell’unico incontro ma l’esposizione di tanti concetti, la sintonia per l’ecologico, l’accostamento di “materiali nobili” (anche qui il termine forse non è corretto ma mi permetta una licenza) come il ferro e il legno ben rappresentato nell’appartamento che, così cortesemente, mi ha permesso di visitare, l’idea di “respirare”, non essere soffocati (ricordo bene l’entrata dell’appartamento buia e quasi claustrofobica e soffocante per poi spalancare gli ambienti con la zona giorno), il gioco di stanze che creano pareti (io l’ho visto così l’appartamento, mi perdoni) mi avevano affascinato. Bellissimo!
Allora perché non accettare le sue competenze in quel momento? Perché purtroppo l’incontro è stato in un momento infelice e in concomitanza di una serie di sfortunati eventi. So che questo fa ancora più rabbia (da entrambe le parti) ma eravamo all’inizio del percorso, spaventati da un progetto forse più grande di noi, ancora a muovere i primi passi in un ambiente completamente sconosciuto e che ci ha letteralmente spiazzato, tanti attori da far recitare ruoli di cui non capitavamo il senso, un budget troppo limitato e che non sarebbe mai stato rispettato (ma questo lo abbiamo capito realmente dopo).
Ora il progetto è quasi una realtà. Attenzione!, ne siamo contenti, non stiamo dicendo il contrario: è una bella casa, ha quello che volevamo ma, col senno di poi, sono sicuro che avremmo fatto insieme qualcosa di più e, sono anche sicuro, ci sarebbe stato un altro tipo di rapporto e di rispetto.
Questa mail non ci riporterà indietro nel tempo e nelle scelte, è una mail di scuse per non esserci più fatti vivi ma le cose sono davvero tante, ma ci tenevo a farle capire che era stato davvero apprezzato.
Stefano & Valentina
Succede purtroppo spesso che l’Architetto e il suo estro, non vwnga del tutto colto dal cliente, ma a volte aolo in parte. Qiesto perché non c’è cultura prgettuale da parte delle committenze e daltronde come biasimarle. Viviamo in un mondo dove tutto e dico tutto passa attraverso informazioni sommarie ma di effetto, suami cntinuamente bombardati da “messaggi pubblicitari di effetto” che condizionano la nostra vita ed anxhe il nostro modo di pensare e vedere le cose. Pertanto anche il cliente è conrinuanente “sollecitato” da questo bombardamento mediatico che gli crea confusione o perlomeno, lo disorienta, facendogli, in un certo modo, perdere quella fascinazione che si era inizialmente creata con l’Architetto. Poi subentrano pure altri fattori, caputa sovente che il committente venga in contatto pure con altri contatti, amici parenri ecc… Che anziché cwrcare di incoraggiarlo nwlla sua “mussione” di realizzare il sogno della vita, che è quello appunto do costruirsi la casa dei suoi sogni, lo inciraggino ad ascoltare “altre campane” ovvero altri “professionisti” i quali, per prima cosa, demoliscano quanto pensato prima, quasi appositamente, cercando di proporre la loro idea. E qui il più delle volte, ci cascano in pieno. Lascio a voi capire quanto difficile sia il nostro compito di Architetti, ovvero quello di poter realizzare la casa dei sogni per il cliente che si affida alle “nosre cure” ma sta al cliente il compito di apprezzare il nostro duro lavoro e non farsi incantate da altre sirene. E questo è un aspetto assai importante ma non è il solo nel duro lavoro che quotidianamente assilla la vita di noi Architetti. Pertanto condivido pienamente il pensiero del collega e la lettera di “scuse” da parte del cliente, ci fanno ancora più male, le percepiamo cone una sorta di fallimento della nostra missione professionale, ma non è affatto così purtroppo..